La fiaba norvegese che piaceva a Tolkien

L’immagine di una bambina a cavallo di un orso polare richiama alla memoria dei lettori italiani La bussola d’oro di Philip Pullman. In realtà, questa figura è un’icona della fiaba scandinava quanto il burattino di legno lo è di quella italiana. Lyra in compagnia dell’orso è un debito, ma non il solo, che Pullman deve alla fiaba norvegese “A oriente del sole, a occidente della luna”.

«Un giovedì sera alla fine dell’autunno», racconta la fiaba, un grande orso bianco si presenta alla casa di un contadino molto povero e con una famiglia molto numerosa. Chiede di portare con sé la bella figlia minore con la promessa di cambiare le sorti di tutta la famiglia. Così avviene. A cavallo dell’orso, la ragazza viene condotta in uno splendido palazzo, dove viene servita e trattata con premura. Ogni sera, dopo che si è coricata, qualcuno la raggiunge nella sua stanza e dorme accanto a lei, ma se ne va prima dell’imbrunire. Quando una domenica, la ragazza – che si sente triste e sola – è condotta a far visita ai genitori e ai fratelli, la madre le consiglia di scoprire che non dorma con un troll. Benché l’orso l’abbia messa in guardia contro tali consigli, la notte successiva lei illumina con una candela l’uomo addormentato, un uomo tanto attraente che non può fare a meno di baciarlo, e alcune gocce di cera gli cadono addosso e lo svegliano. Se solo avesse atteso un anno, le svela lui, l’incantesimo che lo trasformava in orso di giorno si sarebbe rotto. Ora invece, deve sposare la figlia della sua matrigna troll. La ragazza non può trattenerlo, le è concesso solo di cercarlo «ma non c’era nessuna strada, era a oriente del sole e a occidente della luna, e lei non sarebbe mai arrivata». Di fatto è a questo punto che inizia la ricerca per amore, la parte più lunga, suggestiva e poetica di questa fiaba, ma che è bene non rivelare per non rovinare la lettura.

Nel 1889, poi, Andrew Lang incluse questa fiaba nel Libro Blu delle Fiabe. Tra i suoi lettori, anche il giovane J.R.R. Tolkien. Il professore di Oxford non fu mai particolarmente generoso di citazioni nelle sue opere (fatto salvo il caso dei nomi), eppure c’è un omaggio diretto e inequivocabile alla fiaba norvegese nel Signore degli Anelli. È nel terzo libro, Il Ritorno del Re, quando gli Hobbit Frodo e Sam si dirigono verso i Porti Grigi per la partenza definitiva del Portatore dell’Anello dalla Terra di Mezzo, imbarcandosi con gli Elfi su una nave che veleggia a occidente verso una terra sempre evocata ma mai descritta. A dorso di un puledro, Frodo intona la canzone che hanno già cantato all’inizio del viaggio, uscendo dalla Contea (La Compagnia dell’Anello, cap. In tre si è in compagnia), “Rosso è il fuoco nel camino”.

Voltato l’angolo forse ancora si trova
Un ignoto portale o una strada nuova;
Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
Finalmente il giorno giungerà,
E sarò condotto dalla fortuna
A est del sole, a ovest della luna.

Per assecondare la rima, in inglese, Tolkien è costretto a invertire i termini sole-luna (“West of the Moon, East of the Sun“) che, invece, nella traduzione italiana possono tornare nell’ordine originale.
Tolkien non parla di questa fiaba né nelle sue lettere né nei saggi, quindi non sappiamo cosa lo abbia colpito, o perché la prediligesse. Ma possiamo supporre che una ricerca apparentemente impossibile (come la missione di Frodo) verso un luogo che quasi nessuno conosce (come la terra a occidente verso cui migrano, o meglio tornano, gli Elfi), possiamo supporre che una fiaba così evocativa fosse nelle corde del professore.
Non è un caso che “east of the sun, west of the moon” sia diventata, in inglese, un’espressione per indicare il posto impossibile da trovare, il posto fantastico per antonomasia.

Questa ed altre curiosità si possono trovare ne Il Libro Blu delle Fiabe qui.