La piccola avventura olandese di J.R.R. Tolkien tra una zuppa di “vermi”, pipe d’argilla e duecento fan entusiasti.
Quando si pensa all’autore del Signore degli Anelli, JRR Tolkien, si immagina subito un serio professore pronto a sottolineare ogni nostro errore di grammatica e persino a bocciarci! Ma lo scrittore era tutto il contrario, sempre disponibile a smettere i panni dell’università, per correre al pub a bere e disquisire di rugby, politica, libri e tutto quel che gli passava per la testa!
Se non ci credete, ecco una storia da leggere davanti a una tazza di tè o magari una buona pinta hobbit!
Nella primavera del 1958, Tolkien si ritrovò in un’avventura che, pur senza draghi o anelli magici, avrebbe fatto sorridere anche Bilbo Baggins. Lo scrittore inglese era stato invitato a una vera e propria “cena Hobbit”, organizzata dalla libreria Voorhoeve en Dietrich, che aveva contribuito a diffondere la Terra di Mezzo anche nei Paesi Bassi. Alla fine di marzo di quell’anno, il tempo era tutto fuorché da Contea: una nebbia fredda e una pioggerella insistente accompagnavano il viaggio di Tolkien verso i Paesi Bassi. Ma come per magia – o forse per una qualche simpatia elfica del meteo – non appena il treno si avvicinò a Rotterdam, il cielo si aprì. Il sole cominciò a splendere e non smise per due interi giorni, quasi a voler accogliere l’autore del Signore degli Anelli con il tepore che si riserva a un vecchio amico. Miracoli meteo? No, solo l’inizio di quella che sarebbe diventata una delle parentesi più singolari e affettuosamente bizzarre della vita pubblica del professore di Oxford. Tra la folla che accoglieva il suo treno alla stazione, Tolkien riuscì subito a individuare il suo contatto: il signor Ouboter, che agitava una copia del Signore degli Anelli come fosse uno stendardo di Gondor. Un gesto semplice, ma efficace. Tolkien lo trovò subito simpatico e intelligente.
La sera, tra le portate del sontuoso banchetto, una in particolare aveva scatenato l’ilarità generale: la famigerata Zuppa di Maggot – un nome che in inglese fa sobbalzare chiunque non sia abituato all’umorismo tolkieniano: . Chi conosce l’inglese sa che “maggot” vuol dire “verme”, e il povero Ouboter, inconsapevole del doppio significato, l’aveva scelta come omaggio al contadino Maggot, personaggio secondario e un po’ burbero, ma onesto, del primo capitolo della Compagnia dell’Anello. In realtà, la zuppa era un’innocente e prelibata crema di funghi. Ma ormai la frittata era fatta – o meglio, la zuppa servita – e le risate partite. Ouboter, pur se un po’ imbarazzato, la prese con filosofia. Tolkien stesso si fece una risata: del resto, che razza di cena hobbit sarebbe stata senza qualche scivolone linguistico?
Rotterdam, nel 1958, non era esattamente una città da cartolina. Ancora segnata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, offriva scenari di squallore e ricostruzione, spesso disumanizzante. Tolkien ne fu colpito: «Penso che sia stata la frattura tra questo mondo squallido con la sua ricostruzione gigantesca e ampiamente de-umanizzata, e i gusti naturali e ancestrali degli olandesi, a fare sì che, specialmente a Rotterdam, essi siano quasi inebriati dagli hobbit!».
Infatti, la cena fu un successo travolgente. Oltre 200 persone – per lo più lettori appassionati, non accademici – avevano pagato per partecipare. Altri furono addirittura respinti per mancanza di posti. L’atmosfera era carica di entusiasmo e di pipe fumanti, letteralmente. In Olanda, terra dove l'erba pipa è quasi una religione, Tolkien trovò un pubblico adorante, incuriosito più dagli hobbit che da elfi o draghi. «Parlavano quasi solo degli hobbit», ricorda. E non a caso: in un Paese in ricostruzione, ancora ferito dalla guerra, la semplicità e la genuinità degli Hobbit offrivano una via di fuga poetica.
Durante la serata, la cena è stata certamente “abbondante e prolungata”, dato che tra le portate erano inframezzati i discorsi, tutti in inglese. Tolkien, pur non amante della retorica, ascoltò con pazienza elogi a volte anche un po’ troppo entusiasti. Tranne uno: un misterioso psicologo – in realtà un grafologo – con tutta una serie di idee un po’ bislacche sul Signore degli Anelli, che fu saggiamente congedato dopo cinque minuti da un presidente di serata che, si può dire, conosceva bene l’arte di Frodo: agire con discrezione nei momenti più delicati.
Alla fine, Tolkien chiuse la serata con una replica, ispirata al celebre discorso di Bilbo nel giorno del suo compleanno: «Conosco metà di voi solo a metà, e nutro per meno della metà di voi metà dell'affetto che meritate…». Una parodia, certo, ma anche un omaggio scherzoso e affettuoso.
E poi, come in ogni buona festa hobbit, arrivò il tabacco. Ogni tavolo venne decorato con pipe di argilla e barattoli di tabacco – grossi, sottolinea Tolkien – provenienti, pare, dalla ditta Van Rossem. Ma la cosa più incredibile erano i manifesti pubblicitari, appesi alle pareti con frasi che sembravano uscite da Brea: «Erba pipa per gli Hobbit. In tre qualità: Foglia di Pianilungone, Vecchio Tobia e Stella del Sud». Una campagna di marketing che avrebbe fatto impallidire anche il miglior mercante di Gran Burrone.
E la generosità olandese non finì lì. Qualche tempo dopo, Van Rossem decise di ringraziare il Professore a modo suo: gli spedì un pacco pieno di pipe e tabacco in omaggio. E così, nella sua nebbiosa Oxford, Tolkien poté accendersi una pipa da hobbit, ricordando quella strana, affettuosa, inaspettata avventura nei Paesi Bassi.
Questa piccola avventura in terra olandese ci mostra un Tolkien diverso: è un aneddoto molto umano, poetico e a tratti comico su come la fantasia possa accendere l’entusiasmo anche nei tempi più grigi. Un piccolo capitolo nella vita di Tolkien che sembra uscito dalle sue stesse pagine: pioggia, sole, risate, pasticci linguistici e un mondo – reale – che assomiglia sorprendentemente alla Contea.
Questa e mille altre curiosità si possono trovare nel nostro saggio Un anno con Tolkien, di Roberto Arduini e Cecilia Barella.
Sono più di quarant’anni che la critica tolkieniana si interroga sul ruolo delle figure femminili nello Hobbit e nelle opere di Tolkien. Le posizioni della critica internazionale sulla questione femminile sono mutate nel tempo: le prime violente critiche degli anni Settanta hanno ceduto lentamente il posto alla riflessione sui testi, evolvendosi e stemperandosi con la progressiva pubblicazione di sempre nuove opere dell’autore.
È smentita l’idea superficiale che le donne svolgano un ruolo marginale nei romanzi e soprattutto lo scrittore inglese indagò l’animo femminile, presentando una galleria di personaggi che vanno dalla semplice vittima degli eventi fino alla leader di un intero popolo, che da lei prenderà il suo nome, passando attraverso i numerosi rapporti amorosi e coniugali non sempre idilliaci e talvolta conflittuali tra i personaggi delle sue opere. Non solo, il ruolo delle donne nelle opere di Tolkien va a intersecare molte tematiche a lui care ed è da lui usato come mezzo esemplificativo del conflitto e della sintesi che possono avere questioni come l’opposizione tra luce e ombra, l’immortalità degli Elfi, il comando e l’esercizio del potere.
Le figure femminili stereotipate erano tipiche della letteratura di fine Ottocento, come in William Morris. Dopo Tolkien le figure femminili non sono più le stesse, anche se non interessa l’introspezione ma come reagiscono, muovendosi su un fondale: è importante come agiscono e contribuiscono al dipanarsi della storia. L’intenzione palese di Tolkien è rifarsi alla tradizione vittoriana.
Le storie d’amore nella narrativa tolkieniana sono tante, e vanno a comporre una sorta di meta-racconto, sfaccettato e complesso. La vicenda di Aragorn e Arwen allude a quella più antica di Beren e Lúthien, i cui nomi campeggiano sulle lapidi dei coniugi Tolkien, sotto quelli di battesimo, al Wolvercote Cemetery di Oxford. Anche in questo caso si tratta di un uomo mortale e un’elfa immortale, ostacolati dal destino, ma determinati a cambiarlo pur di restare assieme. Il sentimento che li unisce è talmente forte da commuovere i Valar, i quali, alla morte di Beren, offrono a Lúthien la possibilità di far rivivere il proprio innamorato, a condizione che lei accetti di condividerne poi il destino mortale. È la scelta di Lúthien, appunto, che riecheggerà in quella più drammatica di Arwen.
Non tutte le storie sentimentali sono così romantiche. Una delle più singolari è quella tra il gondoriano Faramir e la guerriera Éowyn, che matura mentre sono entrambi convalescenti, dopo essere stati feriti in battaglia. Un amore dolente, crepuscolare, nato mentre i destini del mondo sono incerti e l’orizzonte è tetro. Éowyn aveva amato non corrisposta Aragorn, come si ama un capitano, sognando una fine gloriosa al suo fianco, con le armi in pugno. Ciò nonostante il sentimento di Faramir non è paternalistico, è quello di un uomo che ammira la prodezza e il coraggio di una donna fiera, che rifiuta la pietà di chiunque. E lei non gli dirà un banale “Ti amo”, ma accetterà il suo amore come parte di una scelta di vita opposta a quella perseguita fino ad allora. Alla dichiarazione di Faramir, Éowyn risponde che diventerà una guaritrice, dedicandosi non già all’uccisione e alla gloria che può derivarne, bensì «a tutto ciò che cresce e non è arido», cioè alla vita. E di quella vita fa parte anche l’amore. Questa storia dimostra quanto Tolkien considerasse ambiguo quell’amore cortese che «tende a fare della donna un faro-guida» e che pure lui stesso riconosceva come uno dei più alti ideali della poesia e della cultura medievale, riproposto dal romanticismo. L’idealizzazione della donna distoglie gli occhi dell’uomo «dalle donne così come sono veramente, compagne nelle avversità della vita, e non stelle-guida. […] Fa dimenticare i desideri, i bisogni, le tentazioni delle donne. Inculca la tesi esagerata dell’ “amore vero” come un fuoco che viene dal di fuori, un’esaltazione permanente, che non prende in considerazione gli anni che passano, i figli che arrivano, la vita di tutti i giorni ed è svincolata dalla volontà e dagli obiettivi.» (Lettera 43).
Tolkien, quindi, era un cultore della libertà delle donne e, certo, lo era come lo si poteva essere all’epoca. Éowyn è la principessa che deve mascherarsi da soldato per combatte. Sarà quella che annienta il male, realizzando la profezia che diceva che non sarebbe accaduto per mano di uomo. E effettivamente accade per mano di una donna. Ancora una volta Tolkien ha preso la realtà del suo tempo, la lotta delle suffragette di occupare un ruolo più forte nella società che era cresciuta con la Grande Guerra, quando le donne avevano mandato avanti la nazione con gli uomini al fronte, e l’ha portata in un romanzo. Quando Éowyn parla con Aragorn gli dice: «Ho paura di essere chiusa in una gabbia finché non sarò talmente anziana da non avere voglia di altro».
Arwen ed Éowyn, hanno un ruolo contro la volontà paterna e le leggi sociali. La visione di Tolkien non apporta rivoluzioni, anzi conferma le regole sociali. In Arwen la gerarchia è di stirpe e la scelta di unirsi a un uomo è destinata all’infelicità: la libertà corrisponderà alla morte. In Éowyn, è ancora più marcato l’ordine sociale: serve un’inversione di genere; lei vince non in quanto donna, ma in quanto negazione del maschile. La profezia si realizza per negazione.
Infine, Galadriel è un personaggio fondamentale: è uno dei pochi personaggi che attraversa tutte le tre Ere della Terra di Mezzo ed è presente in moltissime opere le opere tolkieniane – Il Silmarillion, i Racconti incompiuti, il Signore degli Anellie le Lettere – compiendo un’evoluzione psicologica. Il ritratto di Galadriel emerge così in tutta la sua polivalente complessità: l’indomita guerriera del legendarium, che si oppone ai Valar e lascia l’Occidente per combattere Melkor e crearsi un dominio proprio nella Terra di Mezzo, trova coerenza nell’eterea Dama di Lórien del Signore degli Anelli la quale è presentata da Tolkien come «una penitente» che espia l’antica colpa della ribellione ed è infine perdonata «per aver resistito alla tentazione finale e schiacciante di prendere per sé l’Anello» (Lettere, n. 320). Galadriel rifiuta, infatti, il modello di potere in cui l’altro ha l’imperio. Lei è portatrice di luce e una figura che si ricollega ai miti celtici e gallesi. Non c’è il discorso di potere nella scena tra lei e Frodo. Lei ha inoltre su di sé un pericolo supplementare perché è già una portatrice di un anello e se avesse preso l’Unico Anello avrebbe avuto il potenziale di trasformarsi anche lei nella forza malvagia di cui è fatto Sauron. Superata la prova, la regina degli Elfi sta passando il testimone agli Uomini. Gli Elfi se ne andranno e inizierà l’Era degli Uomini nella Terra di Mezzo. Tocca a loro adesso proteggere la Natura e i suoi valori.
In un certo senso, Tolkien sta sfidando anche i lettori a rispondere alla domanda: “Tu cosa faresti con la Terra di Mezzo? Fuor di metafora, usi soltanto o sei in armonia con l’ambiente in cui vivi?”.
Eterea Edizioni, in collaborazione con l'AIST (Associazione Italiana Studi Tolkieniani) e con il Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”, promuove un convegno di studi interdisciplinare dal titolo Oralità e scrittura nella Terra di Mezzo. Tradizioni della voce, trasmissioni manoscritte e interpretazioni del Legendarium tolkieniano, per indagare lo statuto e il ruolo dell’oralità e della scrittura nella Terra di Mezzo e inquadrare il loro rapporto all’interno del Mondo Secondario creato da J.R.R. Tolkien.
Gli studiosi interessati possono inviare una proposta di relazione di non oltre 2.000 battute, comprensiva di due o tre fonti bibliografiche di riferimento, entro e non oltre il 30 aprile 2025 all’indirizzo: paolo.pizzimento@unime.it.
La proposta dovrà comprendere un titolo e un abstract, una breve nota biografica dell’autore, un recapito di posta elettronica e un recapito telefonico.
L’accettazione delle proposte di relazione sarà comunicata via posta elettronica agli interessati entro il 15 maggio 2025. Il convegno si terrà in presenza da venerdì 11 a domenica 13 luglio 2025 nei comuni dei Castelli Romani e la partecipazione sarà gratuita.
Nel nostro Mondo Primario, il passaggio dall’oralità alla scrittura e, in seguito, alle moderne tecnologie della comunicazione ha costituito una trasformazione tale da influenzare profondamente la cognizione, la cultura e la società umana. Molti studiosi hanno approfondito la questione: da Milman Parry e Albert Lord, coi loro scritti pionieristici sull’epica orale, a Eric A. Havelock e Paul Zumthor, che hanno indagato il passaggio dall’oralità alla scrittura nell’antica Grecia e nel Medioevo romanzo, fino a Marshall McLuhan e Walter J. Ong, interessati ai profondi cambiamenti culturali innescati dall’evoluzione dei media moderni.
Tolkien, da filologo e studioso di opere letterarie medievali, guardò sempre con grande attenzione alla questione dei rapporti tra oralità e scrittura e la mise a tema nelle sue opere letterarie. Desiderava, ad esempio, che “Il Silmarillion” – così come lo concepiva nella sua mente – assumesse la forma di «una compilazione, un compendio narrativo steso tardivamente sulla scorta di fonti assai diverse (poemi, annali, racconti di tradizione orale) trasmesse per retaggio antichissimo» (Il Silmarillion, p. 6) affinché replicasse o, per dir meglio, ricreasse il carattere essenzialmente “cumulativo” del mito del Mondo Primario.
Come nel Mondo Primario, insomma, anche nel Mondo Secondario di Tolkien quello fra oralità e scrittura è uno degli elementi dialettici su cui si è costruita un’intera cultura. La questione, finora indagata solo in parte dagli studiosi tolkieniani, merita di essere affrontata alla luce di un approccio interdisciplinare consapevole dei recenti sviluppi degli studi sul tema. Gli organizzatori accolgono quindi con favore proposte di relazione che esplorino il ruolo di oralità e scrittura e il loro rapporto nella Terra di Mezzo, in particolare in relazione ai seguenti filoni di ricerca:
Comitato Scientifico:
Roberto Arduini (Eterea Edizioni, AIST); Igor Baglioni (Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”); Cecilia Barella (Eterea Edizioni, AIST); Alessandro Campus (Università di Roma Tor Vergata); Andrea Ercolani (CNR); Stefano Giorgianni (Traduttore e autore, AIST); Paolo Nardi (Autore e divulgatore, AIST); Oriana Palusci (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”); Paolo Pizzimento (Università degli Studi di Messina, AIST);
Organizzazione:
Roberto Arduini (Eterea Edizioni, AIST); Igor Baglioni (Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”); Stefano Giorgianni (Traduttore e autore, AIST); Alessandro Leonardi (AIST); Paolo Pizzimento (Università degli Studi di Messina, AIST);
Date da ricordare:
I partecipanti al convegno potranno alloggiare nelle strutture convenzionate, usufruendo di una riduzione sul normale prezzo di listino delle stesse. Sono previste visite serali gratuite ai musei e ai monumenti dei comuni presenti nell’area dei Castelli Romani. Il programma delle visite sarà reso noto contestualmente al programma del convegno.
È prevista la pubblicazione degli Atti a cura di Eterea Edizioni previa peer review finale delle relazioni.
Per informazioni: paolo.pizzimento@unime.it.
Fonte originale articolo:https://www.jrrtolkien.it/2025/01/21/call-for-papers-oralita-e-scrittura-nella-terra-di-mezzo/
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