Prosegue il nostro viaggio sui Draghi in Italia. Dopo aver illustrato il progetto, aver presentato i due attori principali, il mitico Emanuele Manfredi ai pennelli e l’espertissima Andrea Wise alla tastiera, abbiamo iniziato a descrivere alcune leggende raccolte: in leggende italiane provenienti da Valle d’Aosta, Trentino e, in parte, Sardegna e Toscana, avevamo trovato almeno due caratteristiche dei draghi – il sangue e lo sguardo – che Tolkien aveva ben presenti nel raccontare i draghi della Terra di Mezzo, soprattutto con Glaurung, il padre di tutti i draghi.
In Italia, la leggenda del drago dei ghiacci della Valle d’Aosta può aver avuto origine anche dal cambiamento climatico. Altre leggende risalgono addirittura al Medioevo e giungono fino ad oggi sotto forma di usanze tradizionali durante le festività religiose, come quella a Santa Brigida, in alta Valle Brembana, in Lombardia. con grandi falò che servivano a tenere lontani i draghi. Invece, i draghi della Liguria sono mostri marini enormi e sembra che siano pure realmente esistiti!!!
Bene, ora però possiamo svelare che a Venezia fino in epoca moderna era diffusa la vendita delle lingue di drago pietrificate.
I mercanti veneziani portarono in Europa un prodotto maltese alquanto raro: le lingue di drago pietrificate.
Quando furono scoperti per la prima volta denti di squalo fossilizzati incastonati nelle rocce, la loro origine era un mistero. Il naturalista e autore romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) ipotizzò che i curiosi oggetti triangolari fossero meteoriti piovuti dal cielo durante le eclissi lunari.
A noi però interessa maggiormente un miracolo attribuito a san Pietro. L’apostolo era naufragato sull’isola di Malta e fu morso da una vipera. Seccato oltre ogni dire, lanciò una maledizione su tutti i serpenti velenosi dell’isola, trasformando le loro lingue in pietra. Di conseguenza, gli oggetti triangolari vennero chiamati glossopetre o “pietre della lingua” e sono state usate per difendersi dal morso dei serpenti e, più in generale, dall’avvelenamento. Gli ospitalieri ne certificavano la provenienza, apponendo il sigillo con la croce di Malta, e le vendevano ai viaggiatori nei porti di tutto il Mediterraneo come amuleto di protezione. Quelle particolarmente grandi, ovviamente, non erano lingue di serpente ma di drago.
Si credeva che le lingue di drago pietrificate avessero proprietà medicinali ed erano oggetti molto apprezzati. Si pensava che le migliori provenissero da Malta e venivano esportati dall’isola in grandi quantità. Si pensava che i calcoli della lingua fungessero da antidoto contro i morsi di serpente e i veleni se toccati con un morso o immersi in una bevanda avvelenata. Potevano essere montate in argento e indossate come ciondoli, portate o cucite nelle tasche. Venivano anche polverizzate e vendute come rimedi contro pestilenze, febbri, vaiolo, doglie, epilessia e persino alitosi.
Nel 1666 alcuni pescatori italiani catturarono un grande squalo bianco al largo delle coste toscane. La testa dello squalo fu trasportata a Firenze e sezionata dallo scienziato danese Nicolas Steno (1638–1686). Stenone vide che i denti dello squalo somigliavano notevolmente alle glossopetre trovate nelle rocce e iniziò a costruire una nuova teoria sulla loro origine. Dimostrando che le glossopetre erano in realtà fossili di un’era geologica precedente, Stenone aprì la strada a una nuova scienza della storia della terra, che fino a quel momento si era basata sulla Bibbia.
Tra i primi a riconoscere la corrispondenza tra i denti degli squali e le glossopetre ci fu anche un discepolo di Zwingli, Conrad Gesner, che indagò personalmente molte leggende legate ai draghi. Salì fino al lago Pilato, in Svizzera, per vedere se davvero ci viveva il drago di cui parlavano le leggende alpine. Gesner segnò il declino per molti commercianti veneziani denunciando i loro metodi per costruire mostri marini, sirene impagliate e altre creature fantastiche che poi finivano nelle wunderkammer dei ricchi collezionisti del tempo. Gesner è lo scienziato a cui dobbiamo, oltre alla diffusione dell’alpinismo, l’uso della nomenclatura binomia poi adottata da Linneo.
Nonostante queste scoperte, però, le glossopetrae continuarono ad essere utilizzate come amuleti in Europa fino all’inizio del XX secolo. In alcune parti della Gran Bretagna rurale divennero note come “pietre crampi” e venivano trasportate per scongiurare crampi, reumatismi e mal di denti.
Anche Tolkien visitò Venezia, due volte: nel 1955 e nel 1966 mentre era in un viaggio in crociera.
Nell’agosto del 1955, Tolkien e sua figlia Priscilla fecero un viaggio in Italia e si fermarono alcuni giorni proprio a Venezia. Durante il soggiorno, Tolkien girò per le viuzze e le calli della città, era divertito per il fatto di trovarsi in un luogo in cui non esistono automobili, trovò interessante il brulichio di lingue a Venezia, compreso il dialetto locale, ma fu afflitto dalle zanzare! Il Professore fu piacevolmente stupito dal fatto che il vino da tavola, distinto solo tra rosso e bianco, fosse tanto buono ed economico. Fece almeno due giri in gondola e si divertiva a perdersi tra i negozietti. Visitò anche Torcello, Burano e Murano, dove trovò che molti prodotti fossero di cattivo gusto, mentre quelli veramente belli costavano troppo. Nel suo diario, Tolkien annota che Venezia somiglia all’antica Gondor, o a Pelargir al tempo delle navi Númenoreane. Visto che nomina spesso i mercanti veneziani e i loro prodotti, chissà se dall’Italia non abbia riportato a casa anche una lingua di drago pietrificata!
Per seguire questo progetto, l’appuntamento è fra due settimane!
E se proprio non potete aspettare, andate a vedere i draghi illustrati da Emanuele Manfredi qui